Il rapporto debito/PIL italiano è passato dal 134,6% del 2019 al 159,8% dei primi mesi del 2021 per gli opposti trend del PIL, giù dell’8,8% nel 2020, e del debito pubblico per il ricorso al deficit delle manovre a sostegno dell’economia colpita dalla pandemia.
Numeri che spaventerebbero chiunque se non fosse per il fatto che l’uomo del “Whatever it takes” e del “Quantitative easing”, Mario Draghi ai tempi in cui era Governatore della BCE, definisce le misure recentemente prese a sostegno dell’economia che generano nuovo deficit come “debito buono” perché produrranno crescita nel medio e lungo periodo.
Francamente a guardare l’ultimo decreto varato dal nuovo governo gli aiuti all’economia per 40 miliardi sembrerebbero quasi tutti di puro sostegno e pochi per sostenere la crescita e di conseguenza il pensiero corre sul se e quanto l’economia italiana, intesa come conti pubblici, sia in grado di sostenere ulteriori e significative dosi di debito pubblico.
Il neo premier, intuendo le perplessità non solo degli economisti ma anche probabilmente dell’uomo comune, ha tenuto a precisare che nella fase pandemica o post pandemica quasi tutto il debito può essere considerato “utile e sostenibile”. “Se la situazione del livello del rapporto debito/PIL fosse giudicata con gli occhi di ieri sarebbe molto preoccupante. Gli occhi di oggi sono completamente diversi. La pandemia ha giustificato, reso legittima la creazione di debito, ha ispirato i comportamenti delle regole di Bruxelles, che infatti sono sospese, e ha informato la politica monetaria della Bce”.
Quindi anche gli interventi che mirano puramente a sostenere le imprese e le famiglie, salvaguardando la pace sociale, sono giustificati da logiche umanitarie ed economiche per evitare il completo danneggiamento del tessuto economico delle piccole e medie imprese che potrebbero facilmente finire in mani “diverse”. Ma sono anche connessi, anzi verrebbe da dire in loro attesa, agli investimenti del Recovery Plan che dovrebbero permettere o generare una crescita economica futura.
Inoltre il premier prevede che i tassi d’interesse rimarranno a lungo su livelli bassi; quindi la partita della sostenibilità si giocherà su quanto il tasso di crescita dell’economia sarà superiore a quanto si spenderà per il prestito sui mercati. Questo secondo Draghi “vuol dire che la crescita è il criterio principale cui guardano tutti coloro che danno il rating al Paese, e un modello di crescita sostenibile. E’ questa la grandezza cui si guarda di più nei mercati oggi”.
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