Con tre recenti sentenze (due del 2020 ed una del 2021) la Corte di Cassazione ha ribadito che la crisi di liquidità non può essere invocata per l’esclusione della colpevolezza da omesso versamento Iva.
Si ricorda che l’art. 10-ter del D.Lgs 74/2000 prevede la reclusione da sei mesi a due anni per colui che non versa “entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta”. Quindi il soggetto passivo Iva che non versa l’imposta dell’anno “n” entro il 27 dicembre dell’anno “n+1” per un importo superiore ad un quarto di milione di euro è penalmente perseguibile e, secondo l’orientamento della Suprema Corte, a nulla vale invocare la crisi di liquidità per escludere la colpevolezza.
Andando ad analizzare la ratio delle sentenze citate si evince che la causa di forza maggiore non può essere esclusa in assoluto ma va dimostrata fornendo la prova che le difficoltà che hanno impedito al contribuente di adempiere ai propri obblighi erano improvvise ed imprevedibili e che lo stesso abbia posto in essere tutte le azioni possibili atte a fronteggiare la crisi non ultima anche l’impossibilità di reperire nuove risorse finanziarie.
Il classico caso in cui il contribuente operi la scelta di privilegiare il pagamento degli stipendi ai dipendenti (perché la loro opera assicura la continuità aziendale) piuttosto che versare l’Iva appare addirittura confermare il dolo. Alla stessa conclusione si arriva con la fattispecie che vede il contribuente impossibilitato ad adempiere per “l’omesso versamento da parte dei fruitori dei suoi beni o servizi”: in altre parole se i clienti non pagano le fatture non è motivo sufficiente per omettere il versamento dell’Iva in esse contenuta perché rientra nel rischio d’impresa.
Ma allora le cause di forza maggiore quali sono? Innanzi tutto “dovranno riguardare non solo l'aspetto della non imputabilità al sostituto di imposta della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l'azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non possa essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell'imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili”.
La pandemia in corso potrebbe rappresentare la “tempesta perfetta”: s’immagini un imprenditore del settore turistico che ha subito ripetute chiusure per provvedimenti normativi (ecco le cause indipendenti dalla sua volontà), che ha prontamente messo in cassa integrazione i dipendenti per evitare l’emorragia finanziaria, ha chiesto ed ottenuto i finanziamenti (ad hoc) garantiti dallo Stato, ha usufruito dei crediti d’imposta sugli affitti, rientra nella fattispecie per ottenere il contributo a fondo perduto che incassa e magari inietta nuova liquidità nell’impresa (ecco tutte le possibili azioni poste in essere) ma malgrado tutto non ce la fa a versare l’Iva per un importo sopra la soglia penalmente rilevante. Potrà essere invocata la forza maggiore?
E’ bene ricordare che, ad eccezione della cancellazione del saldo 2019 e del primo acconto 2020 dell’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap), tutti i provvedimenti adottati hanno riguardato sospensioni e slittamenti dei termini per cui prima o poi il problema potrebbe porsi.
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