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Immagine del redattoreFabio Magnani / Financial Advisor

Montanelli, Private Equity, Venture Capital e “capitale paziente”


il risultato complessivo di questa situazione: che le Casse per il loro attaccamento alla prudenza, né le Banche ordinarie per la loro propensione alla speculazione, erano disposte ad investimenti industriali, che comportano sempre un notevole margine di rischio e non garantiscono utili che a lunga scadenza. Ecco uno dei fondamentali motivi per cui il decollo ritardava: perché gli mancava il primo insostituibile propellente: il capitale….in Italia ce ne era poco…di questo poco, la fetta più grossa era congelata dalla paura”, questo è Indro Montanelli che scrive della situazione in Italia nell’ultimo decennio del 1800 (L’Italia di Giolitti, 1974).



Cosa è cambiato?

Le notizie di questi giorni ci illustrano una situazione italiana in cui la corsa dei depositi appare inarrestabile; solo nel mese di ottobre la liquidità sui conti correnti è cresciuta di 32 miliardi e il valore dei depositi ha sfondato quota 1.700 miliardi. Nei primi nove mesi di quest’anno, mentre il Paese fronteggiava gli effetti dell’onda pandemica, le somme in banca delle imprese sono cresciute del 21%, arrivando a sfiorare i 365 miliardi di euro.


Senza capitali non si può fare sviluppo e tantomeno uscire da questa situazione; ma il problema è endemico, come si legge da Montanelli. Il sistema impresa in Italia soffre di mancanza di risorse.


In una fase storica - ormai decennale - in cui il sistema bancario non riesce a sostenere i cambiamenti dell’economia reale, sono diventati una opportunità gli strumenti chiamati Alternative Finance. In questo intervento parliamo di private equity, che è un’attività finanziaria attraverso la quale un investitore professionale rileva quote del capitale di rischio di un’impresa tipicamente non quotata in Borsa, in un’ottica di medio periodo e con la capacità di affrontare gli steps secondo tempi e modalità opportuni, quello che definiamo “capitale paziente”.


Normalmente questo avviene in due modalità: acquisendo azioni esistenti dai suoi soci (buyout) oppure sottoscrivendo azioni di nuova emissione apportando capitali ‘freschi’ all’interno della società target.


Gli investimenti in private equity raggruppano un ampio spettro di operazioni, in funzione sia della fase nel ciclo di vita aziendale, sia della tecnica di investimento usata.


Il venture capital può essere definito come una categoria particolare del private equity, in cui il target di investimento è rappresentato da un’impresa in fase di costituzione (seed), in un settore ad alto potenziale di crescita, o da una società in fase di start-up. Si parla di ‘early stage financing’ se l’impresa è nata da poco e necessita capitali per finanziare gli investimenti necessari per arrivare al mercato, oppure di ‘expansion financing’ se l’impresa ha già iniziato a vendere i suoi prodotti o servizi e ha bisogno di capitali per consolidare ed accelerare la crescita in atto.

Gli ultimi report pubblicati indicano una caduta del ROE di oltre il 50% (13,9% nel 2007, 6,6% nel 2020 - Cerved Osservitalia), ciò significa maggiori tensioni finanziarie, peggioramenti dei rating bancari e del pricing, quindi la necessità di aprire la visione a scenari nuovi e sostenibili.


Gli investitori professionali nel capitale di rischio intervengono anche in operazioni dedicate alla ristrutturazione di imprese in crisi oppure nel caso di bridge financing, ossia interventi ‘ponte’ finalizzati all’agevolazione di importanti operazioni finanziarie, come fusioni e acquisizioni (M&A).

L’investitore si propone come un partner ‘a termine’, il cui obiettivo ultimo è la realizzazione di una plusvalenza finanziaria nel medio periodo. Collabora attivamente con l’imprenditore per incrementare il valore dell’azienda, apportando competenze complementari, favorendo sinergie e supportando i manager. Esistono operazioni in cui i private equity investor ottengono la maggioranza del capitale di rischio, e quindi il controllo, piuttosto che situazioni in cui sottoscrivono una quota minoritaria del capitale.


La fase di disinvestimento (exit) è cruciale e delicata per gli investitori. Essa viene già pianificata - a grandi linee - nella fase di negoziazione dell’investimento e può avvenire il più delle volte dopo qualche anno (di norma da 3 a 7) con la cessione delle azioni ad un altro investitore (ad esempio una grande impresa, o un altro soggetto del private equity, o l’imprenditore stesso, interessato a riscattare la quota del capitale ceduta) o con la quotazione in Borsa (attraverso un’Offerta Pubblica Iniziale, IPO, in cui le azioni verranno cedute al pubblico dei risparmiatori per costituire il capitale flottante).



Come detto, il principale obiettivo degli investitori è quello di ottenere un capital gain, ma esistono tipologie di player mossi anche da altri obiettivi. Diversi grandi gruppi industriali e bancari investono risorse finanziarie a sostegno di attività di private equity e venture capital anche per maturare opzioni reali sulle innovazioni generate, o per creare sinergie con le proprie attività (corporate venture capital). Esistono poi soggetti pubblici (sia a livello centrale sia a livello regionale) che stanziano risorse per gli investimenti, direttamente o tramite fondi di fondi, con l’obiettivo di creare innovazione, posti di lavoro, nuove imprese. La letteratura accademica mostra una relazione positiva fra vivacità dell’industria del venture capital e del private equity e crescita economica, molto più spinta in altri Paesi (UK, Francia, Germania, USA) competitors delle imprese italiane.


Dal punto di vista di una PMI, il passo da intraprendere non è indolore perché si vanno a toccare elementi psicologici ed equilibri - a volte anche familiari - molto delicati e fissati nel tempo; ma l’opportunità di avere supporto da investitori professionali nel capitale di rischio è importante per molteplici ragioni. In primo luogo, facendo ricorso ad operatori specializzati nel sostegno finanziario finalizzato alla creazione di valore, l’impresa è in grado di raccogliere capitale “paziente”, che può essere utilizzato per sostenere piani di sviluppo, il rafforzamento della struttura finanziaria della società, acquisizioni aziendali, oppure per lo sviluppo di nuovi prodotti e nuove tecnologie. Il private equity risulta essere vantaggioso anche perché può essere utilizzato per la risoluzione di problemi connessi con la proprietà dell’impresa oppure con il fenomeno del passaggio generazionale.


Per contro, gli investitori accettano di compartecipare al rischio dell’imprenditore, ma al fine di tutelare il proprio investimento chiedono la sottoscrizione di patti parasociali abbastanza complessi, che contengono numerose clausole quali diritti di veto, la sottoscrizione di classi di azioni con privilegio in caso di liquidazione dell’impresa, regole anti-diluizione, la nomina di propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione. Questa è una delle differenze rispetto all’equity crowdfunding dove invece il potere contrattuale dei finanziatori è molto basso.



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